D'Annunzio, il cibo e l'eros: pietanze raffinate e mense sontuose come strumenti di seduzione.
Occorre fare un notevole sforzo di fantasia per immaginare Gabriele D’Annunzio davanti a una tavola imbandita, lui che ha alimentato il mito dell’inappetente, confacente alla sua immagine di vate e di superuomo.
In realtà egli ha perfettamente presente lo stretto legame che intercorre fra cibo ed eros; egli conosce le regole del gioco: ha imparato riti e ricette della nobiltà romana, necessita di sale da pranzo sontuose, di mense riccamente decorate, di cibi leggeri e invitanti, di enormi scatole di cioccolatini e marrons-glacés con cui coccolare le sue donne.
È questa la deduzione che si ricava agevolmente dai testi di questo volume, in gran parte inediti, che sfatano clamorosamente la leggenda di un D’Annunzio poco interessato ai piaceri della tavola. Qui egli appare piuttosto un uomo difficile di gusti, ma raffinato conoscitore di cibi, attentissimo alla loro preparazione e presentazione e alla quasi maniacale cura della tavola e dei menu per gli ospiti.