Cosa accomuna una ultradecennale produzione artistica nel segno dell’autonegazione e quindici testimoni internazionali ed eccentrici, guest star di un concerto stonato? Artisti e designer (Jennifer Rubell, Gavin Turk, Alessandro Guerriero, Massimo Mazzone), critici di moda (Antonio Mancinelli), scrittori, sociologi, antropologi, architetti (Fulvio Abbate, Alberto Abruzzese, Giorgio de Finis, Francesco Proto), pubblicitari (Alfredo Accatino), critici d’arte (Gianluca Marziani, Adonay Bermudez, Josè Falconi) e finanche uno chef stellato (Mario Batali) e un mago illusionista (Raul Cremona)? Il “gioco” di un non-libro, di un ibrido fra monografia e opera corale; una sorta di ‘libro d’artista’ (con tanto di serie limitate) che, simulando una narrazione, distribuisce in tre tappe le tematiche ricorrenti e intercambiabili del lavoro creativo di Mauro Cuppone: la morte (metafora della nostra contemporaneità), la magia (spettacolarità e meraviglia nella narrazione) e l’autoreferenzialità (‘malattia mortale’ dell’oggi, in particolare dell’arte sedicente); una ‘narrazione circolare’ che può iniziare e finire da qualsiasi punto.