Molto si è scritto su Carlo e tante sono state le occasioni di approfondimento, non solo a Napoli, per ricordare i trecento anni dalla nascita. Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli ha naturalmente preso parte con grande entusiasmo alle celebrazioni non solo ospitando convegni, ma anche progettando la mostra Carlo di Borbone e la diffusione delle antichità organizzata in collaborazione con la Real Academia de Bellas Artes de San Fernando di Madrid e la Universidad Nacional Autónoma de México di Città del Messico.
La felice triangolazione già da sola dà conto delle immense possibilità di relazione e connessione tra istituti di cultura che la figura del sovrano offre per chi, oggi, come noi, vuole continuare nello studio e nella valorizzazione del patrimonio storico artistico ed archeologico generato dalla sua attività politica e culturale. L’esposizione, curata da Valeria Sampaolo, è dunque da intendersi in primo luogo come un punto di partenza per la crescita del nostro Istituto che conserva non solo ‘l’archeologia vesuviana’, ma anche l’enorme patrimonio di rami della reale stamperia, oltre che le prestigiose edizioni d’epoca. Le tappe successive vedranno un’attenta opera di restauro dei rami, nuove acquisizioni librarie di pregio ma soprattutto, l’emersione a livello narrativo, nell’allestimento museale, della figura del Sovrano. Dietro al formarsi di eccezionali collezioni museali ci sono infatti, costantemente, grandi personaggi e irripetibili contesti storici. La mostra oggi e il museo domani di questo daranno conto, perché con Carlo e ‘i suoi uomini’ l’annoso e spesso sterile dibattito, purtroppo attuale, che pone come antagoniste conservazione e valorizzazione, era stato ampiamente superato dall’idea geniale di inserire in un unico ‘cortometraggio’ l’esperienza dello scavo, del restauro, dell’esposizione e della veicolazione dei contenuti tramite una stampa integrata da immagini. A volte, per dare semplici risposte al Presente, basta dare una rapida occhiata all’operato di chi ci ha preceduto, avendo il coraggio di ammettere che a volte le ‘epopee culturali’ passate ancora fanno scuola.