Lo studio di uno dei più acuti osservatori dell'estetica d'arte su uno dei più noti artisti dell'arte italiana del secondo dopoguerra.
Il primo studio di Parmiggiani è stato, per sua stesa ammissione, “deserto di nebbia, un paesaggio
melanconico, un luogo che mi ha provato e che mi è rimasto dentro molto forte”. Un creatore di luoghi raffinati, il cui studio va pensato come una delocazione, una trasformazione dell’ambiente (con l’aria, la nebbia, l’atmosfera che gli appartengono) in un paesaggio della psiche, in un carattere stilistico e in un’impronta intima. Delocazione non come assenza di luogo ma spostamento di esso, sperimentazioni sui processi di impronta e il ritiro delle cose. E’ un soffio di cenere a generare questi movimenti: distacco che invade lo spazio e lo configura con un’impronta sottile. Nasce così un luogo per il distacco del colore e l’assenza di oggetti dove l’aria è medium e componente essenziale dell’opera. Didi-Huberman, maestro del pensiero francese contemporaneo, affascinato dal soffio che distrugge lo spazio familiare e insieme produce il luogo dell’opera, analizza così il lavoro di Parmiggiani, tracce di una memoria in cui la storia della pittura si imbatte nei fantasmi di Hiroshima.